MADE IN IMMIGRITALY, IL REPORT FAI-CISL E CONFRONTI PRESENTATO A TRENTO
Presentata oggi, nel Palazzo della Regione a Trento, la ricerca “Made in Immigritaly. Terre, colture, culture”, primo rapporto di ricerca su lavoratrici e lavoratori immigrati nell’agroalimentare italiano. Il dossier, al suo interno, approfondisce nove casi studio, tra i quali le dinamiche di presenza dei lavoratori impiegati nella stagione di raccolta e trasformazione in Val di Non, in particolare nel settore ortofrutticolo. All’evento hanno portato un saluto istituzionale il Segretario Generale della Cisl Trentino Michele Bezzi e Giulia Casonato, Assessora con delega alla transizione verde del Comune di Trento. Commissionato dalla FAI-CISL, il rapporto “Made in Immigritaly” è stato realizzato dal Centro Studi Confronti ed è curato da Maurizio Ambrosini, Rando Devole, Paolo Naso, Claudio Paravati.
Nell’intervento introduttivo la Segretaria Generale della Fai-Cisl Katia Negri ha ricordato come spesso il lavoro in agricoltura sia difficilmente attrattivo perché poco retribuito, pesante, spesso pericoloso e il più delle volte precario. “È per questo che con la buona contrattazione l’obiettivo è garantire salario dignitoso, sicurezza, continuità lavorativa, stabilità. Nel nostro territorio – prosegue Negri – abbiamo istituito la cabina di regia per il lavoro agricolo di qualità, che mira a favorire integrazione, legalità, centralità della persona. Inoltre, con la contrattazione decentrata, i CPL, attraverso la bilateralità abbiamo inserito un supporto al tema abitativo, questione sempre aperta, garantendo una risposta efficace alla necessità di alloggio dei lavoratori immigrati”.
Sono poi intervenute Paola Garbari e Stefania Terlizzi, dell’agenzia per il lavoro della Provincia Autonoma di Trento. Nei loro interventi è emerso come i lavoratori immigrati in agricoltura, in Trentino, sono passati dai 16.254 del 2020 al 18.189 del 2023 (pari al 64% degli impiegati nel comparto. Per la maggior parte sono uomini, dai 30 ai 54 anni, le donne sono circa 4mila. Sono presenti circa 15 nazionalità, ma il 50% sono di origine romena, seguiti dalla comunità pachistana, senegalese e polacca.
Serena Piovesan, sociologa che ha curato il caso studio nella Val di Non ha affermato che “laddove si parla di reclutamento e inserimento della manodopera immigrata in agricoltura, il caso trentino continua a mostrare una buona tenuta e meccanismi efficienti in termini di modalità organizzative di gestione della forza lavoro, in un quadro di legalità e con limitati episodi di grave sfruttamento. Forti di un rapporto fiduciario tra datori di lavoro e lavoratori – prosegue Piovesan - consolidate traiettorie di migrazione “circolare” garantiscono la presenza di quote rilevanti di personale straniero, principalmente dalla Romania, addetto alla raccolta della frutta, in particolare nelle fasi di picco del fabbisogno, in concomitanza con la raccolta delle mele in Val di Non, tanto che l’incidenza straniera sulle circa 12mila assunzioni stagionali, supera il 60%”.
I lavori, che hanno visto l’intervento di Rando Devole esperto di migrazioni e la moderazione di Luisa Chiodi, Direttrice di OBCT/CCI, sono stati conclusi dal Segretario Generale Fai-Cisl nazionale Onofrio Rota: “La ricerca sul contributo dei lavoratori stranieri al Made in Italy agroalimentare, la prima nel suo genere finora effettuata, ha l’obiettivo di rovesciare la narrazione dominante che vorrebbe ridurre il fenomeno migratorio alle logiche della pura e costante emergenza sociale o al massimo di una strumentale accoglienza utilitaria di braccia da lavoro da confinare a una subalternità di fatto rilevata su più livelli. Nonostante ci sia ancora molto da fare – prosegue Rota – sui temi dei flussi migratori, sull’accoglienza e integrazione, su legalità e sicurezza, crediamo che il quotidiano impegno delle parti sociali, il valore della bilateralità, la continua pressione sulle istituzioni, portino all’aumento dei casi virtuosi come quelli affrontati nel nostro report”.