LA FAI CISL DEL VENETO, CON IL PATROCINIO DELLA REGIONE, RILANCIA LA CAMPAGNA "SOS CAPORALATO"
Crescono anche nella nostra regione i casi di sfruttamento lavorativo nel settore agricolo: lavoro nero, lavoro grigio e vere e proprie forme di caporalato con l’assoggettamento sistematico della manodopera, soprattutto straniera. La denuncia si alza con forza da Fai Cisl Veneto – da tempo impegnata nel contrasto di tutte le forme di lavoro irregolare, non solo nei campi ma nell’intera filiera agroalimentare –, che stamattina in una conferenza stampa ha rilanciato la sua campagna nazionale “SOS Caporalato”.
Un’iniziativa importante e necessaria, quest’anno con il patrocinio dell’Assessorato al Lavoro della Regione del Veneto, che si va ad affiancare alla campagna in corso per la “Disoccupazione agricola”, partita lo scorso novembre. E sono proprio gli incontri con i numerosi lavoratori e lavoratrici per l’ordinaria richiesta di disoccupazione e il loro ascolto, che hanno consentito in queste settimane a Fai Cisl Veneto di cogliere ulteriori segnali di inasprimento del fenomeno: «Stiamo riscontrando una preoccupante crescita dei lavoratori che non hanno buste paga regolari o raccontano di essere stati arruolati da sedicenti faccendieri per lavorare nelle campagne – ha raccontato allarmato il segretario generale di Fai Cisl Veneto, Andrea Zanin –: insieme alla Regione del Veneto vogliamo perciò rilanciare un’informazione capillare sui diritti e sulla legislazione vigente per arrivare alle raccolte del 2022 con un solido piano di prevenzione. L’agricoltura veneta, purtroppo, non è composta soltanto da eccellenze, e come tutti i territori non ha ancora sviluppato una concreta immunità rispetto ai fenomeni di sfruttamento».
Il comparto agroalimentare nel suo complesso vale il 15% del Pil regionale, ossia 3 miliardi di euro; al suo interno la parte agricola è la più penalizzata con solo il 2,2%. In termini di occupazione l’agricoltura regionale conta circa 73.150 occupati (+8,3% rispetto all’anno precedente), di cui 27.400 dipendenti, in larga parte stagionali, e 45.750 indipendenti (dati 2020).
Ma c’è poi una realtà sommersa costituita da lavoratori invisibili, contratti e reclutamenti illegali, paghe da fame, intermediazioni illecite, evasioni contributive, irregolarità in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, diritti calpestati. Un mondo che non ha contorni precisi perché non esistono dati certi, ma solo stime ed esiti di varie attività di controllo (di polizia, dell’autorità giudiziaria, dell’Ispettorato del Lavoro etc). Come ci hanno raccontato, ad esempio, alcuni recenti fatti di cronaca: delle 13 imprese agricole esaminate negli ultimi mesi dagli Ispettori del lavoro in diversi comuni della provincia di Venezia, nessuna è risultata in regola; nel Polesine, delle 24 imprese controllate dall’Ispettorato del Lavoro di Rovigo, molte di queste sono apparse fuori legge.
E le stime arrivano, preoccupanti, dall’Osservatorio della Fondazione Fai Cisl Studi e ricerche, prodotte sulla scorta dell’analisi di alcuni fattori specifici correlati al fenomeno: come l’aumento dei lavoratori stranieri in agricoltura, la crescita del numero di aziende “senza terra” e, di conseguenza, del rischio di intermediazione illecita, infine la crescita della presenza di infiltrazioni criminali nel settore. Su questa base si ipotizza che siano 15mila le aziende venete a rischio irregolarità (di vario grado), 10mila i lavoratori in possesso di un contratto a rischio (di vario grado) e 6mila i lavoratori potenziali vittime dei caporali (con contratto e “in nero”).
Anche sul fronte specifico del caporalato nell’agricoltura la cronaca ha di recente restituito l’immagine di un Veneto “poco felix”, soprattutto per i lavoratori più vulnerabili del settore: gli immigrati. Si ricordano i casi di Rovigo, con lo sfruttamento di lavoratori stranieri ad opera di connazionali, e di Verona, con persone denunciate per aver fornito lavoratori irregolari migranti ad aziende terze, che li sfruttavano approfittando del loro stato di bisogno.
E proprio per intensificare le azioni di presidio ed evitare che si ripetano casi come questi, Fai Cisl dà ulteriore impulso oggi alla campagna “SOS Caporalato”, che conta anche di un numero verde gratuito, l’800.199.100, attivo dal lunedì al giovedì dalle ore 10 alle 17 e il venerdì dalle 10 alle 13. Un’iniziativa che mira a una capillare informazione dei lavoratori e alla raccolta di dichiarazioni e di segnalazioni relative a sfruttamento e illegalità, arruolamento di manodopera con metodi ricattatori fino a veri e propri casi di schiavitù.
Consentirà anche un fondamentale potenziamento del monitoraggio del caporalato, uno dei punti deboli che anche in questo caso ne rendono difficile il contrasto. «Non è affatto semplice avere un'idea numerica di quello che può essere il fenomeno» ha confermato il responsabile ricerca della Fondazione Fai Cisl Studi e ricerche, Ludovico Ferro: «Per sua natura sfugge alle rilevazioni ufficiali, e solo con il monitoraggio sul territorio, le attività ispettive e le denunce che possiamo raccogliere anche con il numero verde della nostra campagna, è possibile avere indicazioni sulle tendenze. Di certo quello che emerge è la punta di un iceberg, fatto di situazioni a rischio che vanno dall’irregolarità alle peggiori forme di sfruttamento del lavoro e in generale di ricatto e violenza».
Come ha anche evidenziato il segretario generale nazionale di Fai Cisl Onofrio Rota: «Con la legge 199 del 2016 è stata alzata di parecchio l’asticella nella lotta al caporalato, ma resta da fare ancora molto sul lato preventivo. Ad esempio, ad oggi le aziende iscritte alla Rete del lavoro agricolo di qualità sono solo 5166, troppo poche se pensiamo che le imprese agricole in Italia sono oltre 180mila: l’iscrizione è una prassi che va incrementata. Ad esempio, proponiamo un patto con la pubblica amministrazione e con le scuole affinché nelle mense l’approvvigionamento di cibo passi solo per le imprese iscritte a questa rete, sarebbe un segnale forte oltre che un atto concreto per favorire le aziende sane, il lavoro di qualità, la legalità. Estirpare lo sfruttamento dall’agricoltura italiana è possibile e doveroso, non possiamo rassegnarci a un made in Italy macchiato dal caporalato».
In Veneto, così come nel resto d’Italia, il caporalato è in estensione peraltro anche in settori diversi da quello agricolo: ha fatto molto clamore, ad esempio, la vicenda che ha visto protagonista la nota impresa padovana Grafica Veneta. «Negli ultimi anni, a livello regionale, si sono posti alcuni tasselli importanti su questo versante: il protocollo per la legalità del 2019, per prevenire i tentativi d’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, quello sugli appalti pubblici, siglato nel 2020, e, infine, quello per il settore della logistica, sottoscritto appena lo scorso ottobre» ha ricordato Gianfranco Refosco, segretario generale di Cisl Veneto, però rimarcando: «Ma i fatti di cronaca dei mesi estivi confermano che il fenomeno è in crescita, e ci dicono come per tutti i settori sia essenziale il lavoro sinergico fattivo con le istituzioni, le imprese e le associazioni di rappresentanza».
“SOS Caporalato” segue la stipula di uno specifico protocollo di intesa per il contrasto del caporalato, lo sfruttamento lavorativo e le pratiche illegali nel settore agricolo veneto, avvenuta anch’essa nel 2019, tra Regione del Veneto, le sigle sindacali, le rappresentanze delle diverse categorie), le federazioni della cooperazione.
Un aspetto, quello della necessità di fare fronte comune, sottolineato anche da Elena Donazzan, assessore alla Formazione e al Lavoro della Regione del Veneto, che ha detto: «Per contrastare il fenomeno del caporalato, l’alleanza necessaria e fondamentale è anzitutto quella con i cittadini, ma passa attraverso degli strumenti idonei: serve creare la consapevolezza culturale che non va accettato lo sfruttamento dei lavoratori, ma bisogna anche rivedere la gestione dei flussi, che devono essere regolati fin dalla loro partenza perché altrimenti non sarà possibile arginare davvero il fenomeno. E poi c’è il ruolo insostituibile del sindacato, che funge da raccordo per far emergere il lavoro sommerso. Con Cisl – ha aggiunto – abbiamo costruito pagine nuove e protocolli vincolanti sui temi della legalità e del caporalato, un fenomeno che va contrastato anche perché porta grave danno all’economia e alle imprese sane e buone che stanno sul mercato facendo concorrenza leale».